lunedì 19 dicembre 2016

Sei mesi di errori

Breve storia di Virginia Raggi e del Movimento 5 Stelle a Roma, tra pasticci burocratici, complotti, scontri interni e inchieste giudiziarie

(AP Photo/Gregorio Borgia)

Il 19 giugno Virginia Raggi è stata eletta sindaco di Roma al ballottaggio con il 67,15 per cento dei voti, il risultato migliore in città da quando è stata introdotta l’elezione diretta dei sindaci. Da quel giorno sembrano essere passati molto più di sei mesi. Dopo una lunga e laboriosissima composizione della Giunta comunale, oggi Roma è senza vicesindaco, senza capo di gabinetto e senza direttori generali nelle più importanti società partecipate cittadine. La giunta è stata decimata da dimissioni e inchieste della magistratura, mentre il Movimento 5 Stelle romano è diviso e attraversato da rivalità che emergono sotto forma di fughe di notizie e indiscrezioni fatte arrivare ai giornalisti.

Secondo esperti e giornalisti, il Movimento 5 Stelle ha pagato la mancanza di una leadership chiara e le divisioni interne, le difficoltà di attrarre personale qualificato, da cui a sua volta deriva una scarsa conoscenza del funzionamento della pubblica amministrazione e la necessità di affidarsi a persone apparentemente tecniche ma in realtà rappresentanti di interessi poco trasparenti. In altre parole quelli che vengono considerati i punti di forza del Movimento – la sua “novità”, la sua mancanza di una struttura professionale – sembrano essere almeno in parte anche le cause del fallimento della sua prima vera prova di governo.

Il caso Marra
Questi problemi emergono con chiarezza nella storia di Raffaele Marra, il capo del personale del comune arrestato venerdì scorso con l’accusa di corruzione. Marra, spesso definito il “braccio destro” di Raggi, è un dirigente esperto di pubblica amministrazione: uno che «sapeva i regolamenti a memoria», secondo quanto diceva la stessa sindaca. È un ex ufficiale della Guardia di Finanza, nominato dirigente dell’Agenzia per lo sviluppo del settore ippico dall’allora ministro dell’Agricoltura Gianni Alemanno che poi lo porto con sé quando nel 2008 venne eletto sindaco di Roma. Marra ha lavorato soprattutto come dirigente per amministrazioni di centrodestra, ma ha lavorato anche per il presidente del Lazio Nicola Zingaretti, del PD.

Fino a oggi Marra non era mai stato coinvolto in inchieste giudiziarie, ma era spesso descritto come molto vicino ad alcune persone molto discusse, come Franco Panzironi, un altro dirigente pubblico vicino al centrodestra, coinvolto in “Mafia Capitale” e nella “parentopoli” dell’AMA, caso per cui è stato condannato in primo grado a cinque anni e tre mesi. Per questa ragione Marra è stato spesso criticato da giornalisti ed esponenti del Movimento 5 Stelle, ma per via della sua competenza tecnica era invece ammirato da Raggi e dai suoi collaboratori più stretti. Il 28 giugno, appena dieci giorni dopo la vittoria al ballottaggio, il primo atto di Raggi fu nominare Marra vicecapo di gabinetto e il suo collaboratore Daniele Frongia capo di gabinetto, due incarichi che rappresentano il “braccio operativo” di un sindaco.

Fu un atto affrettato tecnicamente e politicamente, alla prova dei fatti. Frongia risultò incompatibile con la carica di capo di gabinetto a causa della cosiddetta “legge Severino”: in quanto consigliere comunale eletto non poteva ricoprire una carica dirigenziale. La nomina di Marra, invece, non piacque al “comitato di controllo” che Beppe Grillo aveva assegnato a Virginia Raggi. Il comitato del partito, di cui facevano parte la senatrice Paola Taverna e la deputata Roberta Lombardi, rispondeva direttamente a Grillo: Raggi era obbligata da un contratto (sulla cui legalità ci sono molti dubbi) a consultarlo per ogni decisione importante. Quell’episodio mostrò per la prima volta le contrapposizioni che stavano nascendo nel Movimento 5 Stelle a Roma: «La divisione più semplice da fare è quella tra i sostenitori della Raggi e di Roberta Lombardi», ha spiegato al Post Jacopo Iacoboni, giornalista della Stampa ed esperto delle dinamiche interne al Movimento.

Lombardi e Taverna fecero sapere pubblicamente che disapprovavano la nomina di Marra: Lombardi lo definì «un virus» che stava infettando il Movimento. Altri dirigenti del partito si schierarono con Raggi: il vicepresidente della Camera, Luigi Di Maio, difese la scelta di Raggi e disse che il Movimento non aveva «pregiudizi su chi ha lavorato in altre amministrazioni». A metà luglio lo scontro divenne particolarmente intenso e, secondo le voci riportate dai giornali, Raggi arrivò a minacciare le dimissioni nel caso in cui l’avessero obbligata a rinunciare all’aiuto di Marra. Alla fine venne trovato un compromesso: il suo collaboratore Frongia venne promosso vicesindaco, mentre Marra conservò la sua posizione almeno fino al suo arresto, la scorsa settimana (in seguito il Movimento ha costretto alle dimissioni anche lo stesso Frongia e Salvatore Romeo, capo della segreteria politica e importante collaboratore di Raggi).

Le dimissioni dei tecnici
Il 7 luglio, 18 giorni dopo la vittoria alle elezioni, Raggi presentò la sua giunta con più di una settimana di ritardo sulla sua compagna di partito, Chiara Appendino, sindaca di Torino, e sugli altri sindaci delle grandi città, Giuseppe Sala a Milano e Luigi De Magistris a Napoli. Comporla non era stato semplice. «Il Movimento 5 Stelle ha difficoltà ad attirare personale qualificato», spiega il professor Roberto Biorcio, professore di sociologia all’Università Milano-Bicocca e autore del libro “Politica a 5 Stelle“: «In parte perché molte persone con esperienza sono legate ad altri partiti, in parte perché gli manca la rete di relazioni necessaria a identificare i candidati più adatti».

Anche il clima di diffidenza reciproca e fughe di notizie creato dallo scontro su Marra e Frongia non aiutò la scelta. Il risultato: le posizioni più importanti nella giunta furono occupate da “tecnici” suggeriti da Francesco Paolo Tronca, il prefetto che aveva governato Roma da commissario dopo le dimissioni del sindaco Ignazio Marino. Tra loro i più importanti erano l’assessore al Bilancio, Marcello Minenna, 44 anni, professore all’università Bocconi di Milano ed ex analista della CONSOB; e Carla Raineri, 61 anni, magistrato della Corte d’appello di Milano, nominata capo di gabinetto al posto di Frongia. Il rapporto tra i “tecnici” e il gruppo di Raggi fu teso fin da subito; in particolare quello tra Raineri e il suo vice, Marra. A un certo punto qualcuno fece arrivare ai giornali la notizia che Raineri guadagnava 193 mila euro l’anno, causandole critiche tra gli attivisti del Movimento. Alla fine di agosto, come ha raccontato il giornalista del Corriere della Sera Sergio Rizzo:


Sulla scrivania del presidente dell’Autorità anticorruzione Raffaele Cantone piove una lettera con la quale il Comune di Roma chiede lumi sulla compatibilità di Carla Raineri, che fra l’altro ha pure la delega per la lotta alla corruzione. La lettera è firmata Virginia Raggi, ma l’ha scritta il vice di Carla Raineri: Marra. Chi l’ha letta giura che, per come il quesito è formulato, la risposta negativa di Cantone è scontata. Carla Raineri ci mette un minuto per capire che l’hanno voluta far fuori. Anche perché è impensabile che una della sua esperienza si esponga a un giudizio di incompatibilità, e prima di accettare l’incarico ha fatto ogni possibile verifica.


Fu uno dei molti episodi simili che avvennero in quei giorni e che continuano anche oggi. «Quello che abbiamo documentato in questi mesi è una profonda rissosità e divisione all’interno dei militanti del Movimento 5 Stelle: c’è una grandissima tendenza alla “faida” e alle accuse reciproca», spiega Iacoboni. Dopo la fuga di notizie Raggi disse che avrebbe revocato l’incarico di Raineri, che in risposta si dimise immediatamente. Minenna, appena tornato dalle ferie, fece la stessa cosa, seguito immediatamente da altri tre manager che Tronca aveva nominato alla guida di importanti società municipalizzate (qui avevamo raccontato la cronaca di quei giorni).


In poche ore divenne chiaro che Raggi non si aspettava quelle dimissioni e non aveva persone con le quali sostituirle. Il Movimento non spiegò cosa stava succedendo per quasi un’intera settimana e per tutto settembre la città rimase senza assessore al Bilancio, la carica più delicata dell’intera giunta. Vennero proposti in maniera rocambolesca e poi scartati una serie di nomi, spesso improbabili, e alla fine la questione dell’assessore al Bilancio venne risolta con due compromessi: la nomina al Bilancio di Andrea Mazzillo, coordinatore dello staff di Raggi, e quella di un imprenditore veneto vicino al centrodestra e a Gianroberto Casaleggio, Massimo Colomban, alle Partecipate. Gli altri incarichi lasciati scoperti dalle dimissioni di settembre sono ancora vuoti, tre mesi dopo: e sono le società che gestiscono i trasporti pubblici e i rifiuti, due delle questioni più importanti e delicate della città.

Il caso Muraro
Il pasticcio più imbarazzante per il Movimento 5 Stelle a Roma però è probabilmente quello dell’ex assessore all’Ambiente Paola Muraro, che si è dimessa una settimana fa dopo aver ricevuto un avviso di garanzia. Muraro è stata per 12 anni una consulente di AMA, l’azienda municipalizzata che gestisce lo smaltimento dei rifiuti a Roma: anche lei è considerata vicina a dirigenti di centrodestra come Panzironi, e con un ruolo particolarmente importante in una serie di impianti di trattamento dei rifiuti, i tritovagliatori, di proprietà dell’imprenditore Manlio Cerroni, che è anche proprietario della famigerata discarica di Malagrotta chiusa dall’ex sindaco Ignazio Marino. Secondo i magistrati, Muraro avrebbe avuto in passato rapporti poco trasparenti con Cerroni, arrestato nel 2014 con l’accusa di traffico di rifiuti. Quando era assessore Muraro insistiva affinché venissero usati soprattutto gli impianti di Cerroni per trattare i rifiuti prodotti da Roma, scontrandosi spesso con gli ex dirigenti di AMA.

Muraro sapeva di essere indagata da luglio, ma quando le prime voci di un suo coinvolgimento si diffusero tra i giornalisti, lei disse di non aver ricevuto “alcun avviso di garanzia”: un’affermazione omissiva ma formalmente corretta, visto che aveva scoperto di essere indagata facendo una richiesta di informazioni alla procura e non grazie a una comunicazione della procura stessa. Dell’indagine sapevano anche la sindaca Raggi e il vicepresidente della Camera Di Maio (qualcuno fece arrivare ai giornali una mail che dimostrava che era stato informato). In quei giorni le fughe di notizie furono così numerose da costringere lo stesso Grillo a intervenire.


Il Movimento fu molto criticato, anche dai suoi stessi attivisti, per aver tentato goffamente di coprire la vicenda, soprattutto perché in passato era stato severissimo con gli altri partiti e i rivali interni: essere indagati, sostenevano in passato i dirigenti del Movimento, obbligava a dimissioni immediate.

Che cosa ha fatto Raggi?
In questi giorni circola online un post in cui un’attivista del Movimento elenca i “successi” ottenuti dalla giunta Raggi che, secondo lui, sarebbero stati oscurati dai media nazionali. L’elenco comprende una serie di piani solo promessi e non ancora realizzati, come la riforma della polizia locale; progetti approvati dai sindaci precedenti, come l’arrivo di alcuni nuovi autobus; iniziative controverse, come la lotta all’abusivismo commerciale, da un lato contrastata con operazioni di polizia e dall’altro legalizzata, con l’ampliamento delle licenze e l’appoggio ai cosiddetti “bancarellari”, i potenti e influenti ambulanti autorizzati, come quelli della famiglia Tredicine in pessimi rapporti con la giunta Marino, che li aveva estromessi dal centro storico.

Gli accordi fatti dal comune con gli ambulanti mostrano un’altra delle caratteristiche dei primi sei mesi di amministrazione del Movimento, spiega Iacoboni: «Una continua e costante ricerca di compromesso, o in alcuni casi una filiazione e provenienza diretta, con i soggetti esistenti: gli studi di avvocati d’affari dell’ex giro Previti, Muraro, gli imprenditori dei rifiuti, che a Roma chiamano “i monnezzari”, alcuni palazzinari, la destra Panzironi-Alemanno, ma anche i sindacati di base all’interno delle municipalizzate, AMA e ATAC, che sono state vere basi elettorali dei cinque stelle a Roma».

È impossibile risolvere i problemi di una città complessa come Roma in sei mesi, ed è ancora più difficile farlo con una giunta traballante e tra le critiche e i complotti della propria stessa maggioranza. In questo scenario, spiega Iacoboni: «Virginia Raggi – che ora nel M5S cercano di far passare come unico capro espiatorio, come qualcosa di esterno al M5S – è invece la quintessenza del Movimento 5 Stelle: una forza politica molto scalabile sia dall’interno che dall’esterno, cioè dai poteri che si trova davanti. Nel caso di Roma, gruppi di interesse vicini al centrodestra». La tesi di Matteo Orfini, deputato romano e presidente del PD, è che Raggi – che ha lavorato per lo studio legale che ha assistito Cesare Previti, Silvio Berlusconi, Marcello Dell’Utri e Mediaset – sia «organica alla peggiore destra romana».

Secondo il professor Biorcio, con una leadership forte, come quella che ha annunciato Grillo alla fine dello scorso settembre, il Movimento potrebbe evitare le insidie che hanno danneggiato Raggi negli ultimi sei mesi e dimostrarsi in grado di gestire una città complessa come Roma. Diversi giornalisti hanno ipotizzato negli ultimi giorni che Grillo voglia portare avanti un piano di accentramento, facendo nominare alla carica di vice-sindaco l’assessore al bilancio Colomban, che aveva imposto lo scorso settembre. Colomban però sembra non voler fare la fine dei tanti che lo hanno preceduto. Lunedì 19 dicembre ha fatto sapere di non essere disponibile a fare il vicesindaco.

Fonte: Il Post

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