venerdì 3 luglio 2015

La Grecia a due giorni dal referendum

Tutte le cose da sapere, dai sondaggi ai problemi nel governo Tsipras alla decisione del Consiglio di Stato, che si esprimerà in modo definitivo sulla legittimità del voto

Salonicco, 2 luglio 2015 (AP Photo/Giannis Papanikos)

Mancano due giorni al referendum indetto dal governo greco sull’ultima bozza di accordo dei creditori internazionali. E sono passati due giorni da mercoledì primo luglio, da quando cioè la Grecia è diventata il primo paese “sviluppato” a non rimborsare un prestito al Fondo Monetario Internazionale e da quando i termini del secondo programma di salvataggio sono scaduti lasciando il paese, per la prima volta dal 2010, senza alcun sostegno.

Il referendum
Il referendum è stato indetto tra venerdì 26 e sabato 27 giugno, al termine di una lunghissima riunione tra i rappresentanti della Grecia e quelli dell’Unione Europea per il raggiungimento del nuovo accordo: quando l’UE ha presentato la sua ultima proposta, il primo ministro greco Alexis Tsipras ha deciso che sarebbero stati i cittadini e le cittadine a decidere se accettarla o meno, con un referendum. Il referendum si svolgerà domenica 5 luglio sull’ultima proposta presentata dalla Commissione Europea, dalla Banca Centrale Europea e dal Fondo Monetario Internazionale il 25 giugno.

Concretamente votare Sì (Nai, in greco) significa accettare la proposta in cambio dei nuovi prestiti di salvataggio alla Grecia (senza il consenso della controparte, comunque, che considera quella proposta scaduta). Votare No (Oxi), rifiutarle (e non è chiaro cosa succederebbe dopo). Non si tratta esplicitamente di un referendum sulla permanenza o sull’uscita della Grecia dall’Unione Europea né di un referendum sull’euro o la dracma, nonostante le conseguenze di una vittoria del No oggi non possano essere previste – senza un prestito la Grecia può solo decidere di restare senza soldi o battere una nuova moneta – e nonostante, come ha scritto l’Economist, i leader europei stiano facendo di tutto per presentare il referendum in questo modo.

Alexis Tsipras ha detto giovedì sera che il suo governo e i creditori internazionali troveranno un accordo entro 48 ore dopo il referendum di domenica, qualunque sarà il risultato. Il primo ministro greco ha anche spiegato che con la vittoria del No ci sarà una «soluzione sostenibile», e che più ampio sarà il margine dei No e migliore sarà l’accordo. In caso di vittoria dei Sì Tsipras ha ribadito che avvierà «le procedure previste dalla Costituzione» per fare in modo che la proposta dei creditori diventi legge. Ha concluso che non metterà la sua «poltrona» al di sopra gli «interessi del paese» lasciando ancora una volta intendere che potrebbe dimettersi (come ha detto esplicitamente il ministro delle Finanze Varoufakis).

Altre cose sul referendum
Da diversi giorni si discute se il referendum sia legittimo oppure no. Ci sono opinioni discordanti: la critica maggiore è arrivata qualche giorno fa dal Consiglio d’Europa, un’importante istituzione che si occupa di diritti umani e democrazia (che non ha legami con l’Unione Europea), e che ha spiegato che il referendum potrebbe non rispettare gli standard internazionali per questo tipo di consultazioni a causa dell’insufficienza dei controlli, della poca chiarezza del quesito proposto e dei tempi molto brevi. Oggi, venerdì 3 luglio, il Consiglio di Stato greco – che è il più alto organo giudiziario del paese, come la nostra Corte Costituzionale – si esprimerà in modo definitivo sulla legittimità o meno della votazione.

Il sito del referendum messo online dal governo greco è qui: c’è un timer con il conto alla rovescia, sono elencati i referendum che si sono tenuti in altri paesi europei negli scorsi anni relativi all’UE, ci sono il testo completo della bozza dei creditori, altro materiale sul debito della Grecia e le proposte del governo, e una serie di dati che riguardano cosa è accaduto in Grecia dall’inizio dell’austerità a oggi.

L’affluenza alle urne dovrà raggiungere il 40 per cento perché il risultato sia considerato valido. La soglia, scrivono diversi quotidiani greci, dovrebbe essere raggiunta facilmente visto che l’affluenza alle elezioni dello scorso gennaio (quando ha vinto Tsipras) è stata del 64 per cento. Gli elettori e le elettrici non saranno però in grado di esprimere il loro voto per corrispondenza e sarà possibile votare solo ai seggi elettorali in cui si è registrati, di solito nella città in cui si è nati. Questo potrebbe rappresentare un problema: anche la forma più semplice di trasporto potrebbe diventare complicata visto che i prelievi di contanti sono limitati a 60 euro al giorno fino a martedì prossimo e visto che le carte di credito non sono sempre accettate per timore che poi non ci sia un reale incasso. Il governo sta sollecitando le stazioni di servizio ad accettare pagamenti non in contanti. Tutti i trasporti pubblici di Atene e della periferia saranno comunque gratuiti. In tutto il paese saranno aperti 19 mila seggi elettorali.

Il governo dice che il costo del referendum sarà di circa 20 milioni di euro per la distribuzione delle schede e per il pagamento degli osservatori. Le opposizioni dicono che invece i costi potrebbero raggiungere i 120 milioni di euro. Le liste elettorali del paese, a cui sono iscritte circa 10,5 milioni di persone, sono pronte. Gli exit poll dovrebbero uscire dopo la fine delle votazioni alle 19.00 di domenica. Una stima del risultato dovrebbe arrivare poche ore dopo.

L’ultimo referendum nazionale in Grecia fu organizzato più di 40 anni fa, nel 1974, dopo la fine del regime militare per scegliere tra repubblica e monarchia. Vinse la repubblica con il 69,2 per cento dei voti. Dal 2010, da quando cioè il paese ha accettato il primo piano di salvataggio per evitare il default, si sono svolte tre elezioni generali.

Il quesito
Il testo del quesito che sarà proposto ai greci il giorno del referendum e che è stato pubblicato da diversi giornali è questo:


E dice:

Il piano proposto dalla Commissione Europea, dalla Banca Centrale Europea e dal Fondo Monetario Internazionale all’Eurogruppo del 25 giugno 2015, deve essere accettato?
Il primo documento si intitola “Riforme per la concorrenza dell’attuale programma e oltre lo stesso” e il secondo “Analisi preliminare della sostenibilità del debito”.
NON ACCETTO / NO
ACCETTO / SI

Molti hanno criticato il fatto che il No venga proposto proposto prima del Sì, essendo la posizione del governo di Atene. Il quotidiano greco Ekathimerini scrive poi che la formulazione della domanda è molto tecnica e tradotta dall’inglese al greco in modo incompleto. Nella traduzione mancherebbe anche una parola chiave su una questione centrale per questa votazione: la sostenibilità del debito. Scrive Ekathimerini: «Mentre il documento originale in inglese dice che il debito sarà sostenibile in entrambi i potenziali scenari, la versione greca sostiene che non lo è».

Il “falso” sondaggio
I sondaggi sul referendum di domenica non dicono molto – non sembrano nemmeno affidabilissimi – e mostrano un elettorato diviso a metà. L’ultima ricerca realizzata dall’istituto ALCO per il quotidiano Ethnos mostra un leggero vantaggio per il Sì, che sarebbe al 44,8 per cento. Il No è al 43,4 ma l’11,8 per cento degli e delle intervistate dichiara di essere indeciso. Un altro sondaggio commissionato da Bloomberg News mostra il 43 per cento di intervistati che propende per il No e il 42,5 per cento per il Sì, con un margine di errore del 3 per cento. Quello che si può affermare dall’osservazione dei dati da sabato scorso è che il netto vantaggio dei Sì rilevato subito dopo l’annuncio del referendum è via via diminuito.

Negli ultimi due giorni è invece circolato un sondaggio della GPO ripreso da diverse testate internazionali che dava il Sì al 47,1 per cento mentre il No al 43,2.


Subito dopo la diffusione di questi dati, la GPO ha dichiarato in un comunicato che non si assume nessuna responsabilità per il sondaggio pubblicato. Secondo l’azienda sono stati diffusi i dati parziali della ricerca senza alcuna autorizzazione: «Non abbiamo alcuna responsabilità per quelle cifre pubblicate dai media e useremo tutti i mezzi legali per tutelare i nostri interessi». I sondaggi, ha fatto sapere l’azienda, devono essere fatti con «reponsabilità» in particolare «mentre si attende la critica decisione del popolo greco».

Le opposizioni
La situazione del governo Tsipras non è semplice nemmeno sul fronte interno. Le opposizioni in parlamento si stanno compattando per preparare un eventuale governo più favorevole a un accordo con i creditori. Antonis Samaras di Nea Dimokratia, Fofi Gennimata del Pasok e Stavros Theodorakis di To Potami hanno avuto negli ultimi giorni diversi incontri tra loro e anche a Bruxelles, il cui esito non è stato comunque reso pubblico e di cui in generale si parla poco. Il sindaco di Atene Giorgos Kaminis, del Pasok, ha preso apertamente posizione per il Sì al referendum, partecipando e parlando anche alle varie manifestazioni di chi vuole accettare il piano dei creditori. E hanno invitato a votare Sì anche diversi ex primi ministri conservatori che finora si erano tenuti piuttosto defilati: oltre a Antonis Samaras, predecessore di Tispras, anche Costantino Mitsotakis, primo ministro dal 1990 al 1993, e Costas Karamanlis, primo ministro dal 2004 al 2009. Alexis Tsipras ha definito questo dispiegamento di forze per il Sì uno «sforzo deliberato per intimidire gli elettori».

C’è un problema anche all’interno della stessa coalizione di governo, che è formata dal partito di Alexis Tsipras Syriza e dal partito di estrema destra ANEL che è rappresentato dal ministro della Difesa Panos Kammenos. Negli ultimi giorni diversi parlamentari di ANEL (almeno cinque) hanno dichiarato di non sostenere Tsipras nella decisione di rifiutare la proposta dei creditori e di indire il referendum. Uno di loro, Costas Damavolitis, che aveva esplicitamente preso posizione per il Sì, è stato rimosso dal gruppo parlamentare del partito di destra e sostituito. Kammenos ha detto: «Siamo in guerra e non ci sono eccezioni. Chi non è in grado di gestire una guerra dovrebbe lasciare».

Ci sono stati però problemi anche con lo stesso Kammenos. Nella lettera scritta da Tsipras, pubblicata dal Financial Times e inviata poco prima che venisse annunciata la decisione del referendum, tra le altre misure, si proponeva di «ridurre il tetto per le spese militari». Mercoledì 1 luglio il governo greco aveva però fatto sapere di non avere piani per abbassare il limite di spesa in questo settore: «Non c’è, non c’era e non ci sarà mai una proposta del governo greco per tagliare le spese della difesa». Diverse agenzie di stampa e giornali hanno ipotizzato che l’ultima dichiarazione fosse dovuta alla contrarietà del ministro della Difesa che aveva minacciato di dimettersi. Questa situazione sembra però essere rientrata.

Fonte: Il Post

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