domenica 22 marzo 2015

“Scusa”: l’esperimento sul razzismo in rete (Video)


Si tratta di un esperimento video dedicato a promuovere il sito www.svetimageda.lt lanciato di recente (solo in lituano). Il sito web è un “manuale” digitale, pieno di consigli su come tutti noi possiamo reagire al razzismo, omofobia, altro tipo di bullismo, abuso e discorsi di odio on line, nei mass media, nelle strade, nelle scuole, lavoro, etc.

L’agenzia lituana che ha organizzato l’esperimento racconta: “Come abbiamo fatto a condurre l’esperimento? Abbiamo invitato le persone (attori non professionisti) a partecipare ad un casting per un annuncio. In anticipo, abbiamo dato non specifiche su ciò che riguardava l’annuncio. Quando sono arrivati, abbiamo chiesto loro di aspettare un secondo nella nostra sala d’attesa. Non avevano idea che la sala d’attesa non fosse reale, e sono stati ripresi con le nostre telecamere nascoste.”

Il ragazzo di colore finge di essere appena arrivato in Lituania e chiede alle persone di leggere quanto gli hanno scritto (in lituano) sulla propria pagina facebook. Si tratta di messaggi razzisti: “Scimmia”, “Tornatene in Africa”, e tanti altri. La reazione di chi legge e dovrebbe tradurre è spiazzante. I “traduttori” si scusano e si sentono in difetto, hanno vergogna di leggere quei messaggi.



Sui social Network sono tantissime le pagine e i gruppi razzisti, omofobi e portatori di un pensiero d’odio. Molte volte chi esprime tali “sentimenti” si richiama al principio della libertà di manifestazione del pensiero. Ma il limite che la libertà d’espressione può subire in caso di manifestazioni razziali deve essere letto, almeno inizialmente, con lo sguardo rivolto al passato ed in particolar modo al ventennio fascista che portò a gravi limitazioni alla libertà di espressione e all’introduzione del nostro ordinamento di un corpus legislativo che istituiva la definizione giuridica di “appartenente alla razza ebraica” e assoggettava tali persone a un elevato numero di restrizioni fino ad escluderle dalla vita sociale ed economica del Paese. All’epoca vi furono tante campagne di diffusione delle idee razziste, attraverso la distribuzione pubblica di immagini, opuscoli o materiali diversi inerenti la discriminazione razziale. L’”arte dell’odio” è stata diffusa ampiamente attraverso le colonne della rivista “La Difesa della razza”, che iniziò le sue pubblicazioni il 5 agosto 1938. Il Ministro dell’educazione, Bottai, in una circolare, invitò i rettori delle università e i direttori delle scuole superiori a divulgare tale rivista, assimilandone i contenuti.106 Ma altre riviste dell’epoca diffondevano tale odio: “Lo Stato”, “Il diritto Razzista” e “La nobiltà della stirpe”.

Oggi, simili riviste violerebbero la legge Scelba e prima ancora i princìpi dello Stato costituzionale.
Nel corso degli anni si è sviluppata un’azione di sensibilizzazione dei pericoli che possono derivare dal divulgarsi di un pensiero razzista e fascista. Anche se stiamo constatando come parte della classe politica e dirigente italiana non si nasconde difronte a proclami razzisti.

Con il decreto legge 26 aprile 1993, n.122 convertito con legge il 25 giugno 1993, n.205 (c.d. Legge Mancino), si giunge ad una svolta estremamente importante nella regolamentazione delle manifestazioni di odio razziale. È infatti con questa normativa che il legislatore inizia ad ampliare l’area delle illiceità penali, introducendo non solo la commissione, ma anche l’incitamento alla commissione di atti (anche non violenti fisicamente) di discriminazione razziale, etnici, religiosi o nazionali. Intenzione manifesta del nuovo intervento legislativo è dunque la volontà di ampliare ed articolare in maniera sostanzialmente diversa rispetto al passato l’intervento repressivo. L’oscuramento di un sito e, quindi, l’impedimento alla diffusione delle idee, è finalizzato dalla necessità di impedire la reiterazione di un presunto reato. Spesso, però, il reato è strettamente inerente ad un singolo messaggio, non a tutto il contenuto del sito. In sostanza, tali provvedimenti possono presentare il vizio di essere sopra dimensionati rispetto al contenuto, mancando un’indicazione di metodo da parte del legislatore rispetto ad un mezzo che, ai tempi della formulazione dei nostri codici, era inesistente.

Bisogna notare come gli obiettivi di tutela a cui si riferiva la c.d. Legge Mancino non sono stati adeguatamente raggiunti. Lo dimostra lo scarso numero delle sentenze pronunciate sulla base della legge 205/1993. La stessa Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza (ECRI) afferma: “Benché esistano casi di applicazione di tali disposizioni, viene segnalato da certe fonti che i casi portati dinnanzi ai tribunali non riflettono il numero reale degli atti razzisti verificatisi in Italia. Ciò si può spiegare in parte con le difficoltà iniziali di far conoscere la legislazione. In particolare, l’ECRI ritiene che dovrebbe venir migliorata l’applicazione delle disposizioni secondo le quali la motivazione razzista costituisce una circostanza aggravante, come pure di quelle relative all’incitamento alla discriminazione e alla violenza per motivi razziali, etnici, religiosi o nazionali. A tal fine l’ECRI incoraggia le autorità italiane a predisporre una formazione supplementare in materia per tutte le persone che operano nel quadro dell’ordinamento giudiziario penale, che si tratti di agenti di polizia, di ufficiali del pubblico ministero, oppure di giudici, al fine di sensibilizzarle maggiormente sulla necessità di lottare in maniera incisiva contro i reati commessi per motivi razziali e contro l’incitamento alla discriminazione e alla violenza razziale. Nel contempo si dovrebbero prendere in esame i mezzi da mettere in atto per incoraggiare le vittime di tali atti a denunciarli”.

Purtroppo internet sembra essere un mondo a sè. Provate a segnalare a Facebook un gruppo palesemente razzista, spesso e volentieri la risposta, relativamente ai controlli effettuati dal social network, sarà negativa. Non si può lasciare la regolamentazione legislativa in mano ai vertici di un social network su tematiche che formano le prossime generazioni, purtroppo troppo spesso collocate davanti ad un pc.

Fonte: OltremediaNews

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