giovedì 12 febbraio 2015

Tutti sono Charlie. E di Erri De Luca nessuno parla

Il processo a carico dello scrittore napoletano è cominciato lo scorso 28 Gennaio. È stato rinviato al 16 Marzo. L’accusa: istigazione a delinquere


In realtà, non è proprio così. Qualcuno che parla di Erri De Luca c’è: ma si tratta di blogger, piccoli siti, coraggiosi anti-sistema che s’arrampicano con le loro arringhe virtuali e provano a combattere i Mulini al Vento. Sulle grandi testate, di De Luca si parla quel tanto che basta per riempire uno spazio: che sta succedendo, perché, qual è l’accusa. Ci interessa oppure no.

Di Erri De Luca conservo i ricordi di quand’ero bambino, quando per la prima volta sfogliavo i suoi libri, piccoli, sottili, che potevo rigirarmi tra le mani e che mi incuriosivano per l’odore, per le parole che portavano stampate; per i bei colori delle copertine. Poi ci sono i ricordi dell’adolescenza, quando De Luca è diventato un maestro e anche un confidente – era lui, talvolta, a suggerirmi come dire una data cosa. E quindi quelli di oggi, quelli moderni: quelli che allo scrittore mischiano l’attivista, e alle sue parole associano il reato imputato. Il parallelismo, dovuto e sinceramente sentito da qualcuno, tra la storia di Erri De Luca, accusato di istigazione a delinquere, e quella di Charlie Hebdo è un pigrissimo esercizio di stile e di retorica, che riempie bene i titoli ma che, tirate le somme, non viene affrontato nel modo giusto.

Si parte da troppo lontano o da troppo vicino, e alla fine tutto quello che resta è un cartello: quello appeso, in decine e decine di copie, fuori dall’aula del tribunale nella quale De Luca sta venendo processato. Je suis Erri, e la voce si fa mantra, litania, preghiera, ecc. ecc
La questione, qui, è un’altra. Parliamo di un uomo, un poeta e scrittore, che ha detto una frase: la TAV va sabotata. E nel verbo sabotare De Luca è riuscito a trovare cento e più significati e sfumature, la resistenza democratica all’oppressore e la giustezza e l’importanza di certe posizioni che riprendono a piene mani l’anti-violenza di Gandhi.
La TAV va sabotata perché è stata imposta; perché non è condivisa, perché per essere costruita decine e decine di famiglie perderanno la casa, il lavoro, la terra. E che senso ha un’opera pubblica quando minaccia e colpisce la società? Il ragionamento non è così oscuro, e sinceramente l’istigazione al sabotaggio non è neppure così veniale come qualche magistrato potrebbe pensare. C’è un ragionamento, condivisibile o meno; e c’è la libertà di un uomo di potersi esprimere: non è una frase fine a se stessa, quella che De Luca ha detto; è la conclusione di un passaggio logico lineare e puntuale, che forse con l’istigazione di reato ha poco e niente a che fare.

Non c’è un richiamo all’intervento armato, alla lotta, alla violenza; c’è il passivo subire. Il sabotaggio si fa bloccando, fermando, imponendo la propria presenza. Sabota anche chi, semplicemente, evita il regolare svolgimento di un’attività: chi si mette davanti alle macchine in strada; chi allarga le braccia e rimane fermo, immobile, davanti all’ingresso di un negozio. Chi non fa (non compra, non accetta, non vota).

«La libertà uno se la deve guadagnare e difendere. La felicità no, quella è un regalo, non dipende se uno fa bene il portiere e para i rigori»

Erri De Luca è l’operaio-scrittore, quello che più di ogni altro ha saputo dare voce a una fetta di società, alla classe dipendente, alla lotta contro il sistema e il “padrone”; Erri De Luca non è un sovversivo, non lo è nella stessa misura in cui essere sovversivi viene (male) interpretato nella pura e sfiancante illegalità dei gesti. Uno scrittore che non fa questo, che non diventa interprete e garante della sofferenza dei suoi lettori, non è uno scrittore che mira a cambiare qualcosa con la propria opera. E prima di essere uno che racconta le storie, De Luca è uno che le vive: è protagonista non solo voce. Le vuole vedere con i propri occhi le barricate, le manifestazioni, la rimostranze.
“La TAV va sabotata” e dal nulla nasce l’istigazione a delinquere.
Dimentichiamo l’atto dovuto della critica al più forte, dello sfottò del più povero contro il più ricco. Questa è la satira, ma è pure, più generalmente, la libertà di espressione. E in essa rientrano anche Erri De Luca e la sua dichiarazione, così come rientrano Charlie Hebdo e le sue vignette.
“La libertà uno se la deve guadagnare e difendere. La felicità no, quella è un regalo, non dipende se uno fa bene il portiere e para i rigori”, scrive Erri De Luca ne “Il giorno prima della felicità”. Ed è vero: la libertà non è così scontata come si potrebbe pensare; è un valore attivo più che passivo. L’uomo nasce libero, cresce libero, ma potrebbe morire schiavo. E la schiavitù non è solo quella delle catene e del lavoro; è pure quella della mente, del pensiero, della fantasia. Un governo che ti dice – che ti impone – cosa puoi o cosa non puoi dire; chi ti accusa di istigare alla violenza e a commettere reato se al pensiero fai seguire la parola (e non l’azione); chi ti dice cosa puoi e cosa non puoi diventare, sono anche queste tante piccole forme di schiavitù. Di mancata libertà. E ora possiamo dire tutti quanti, io sto con Erri o je suis Erri. Ma non basta ripeterlo ad alta voce perché il nostro desiderio si realizzi. Qui è in gioco la libertà d’espressione, la stessa che ci siamo sentiti legittimati a difendere quando sono morte 12 persone nella redazione di Charlie Hebdo; la stessa che, ogni giorno, sputiamo in faccia a chi uccide, tortura, impone la propria fede all’altro. Invocare il sabotaggio è istigazione a delinquere? Allora lo è anche dire che non si è d’accordo, che alla tua idea oppongo la mia; che non accetto certe condotte, che la politica faccia talvolta malgoverno.

(testo di Gianmaria Tammaro, foto GettyImages)

Fonte: GQItalia.it

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