mercoledì 18 settembre 2013

L’Italia dei veleni, così la Camorra avvelena terreni e falde acquifere

Mentre il mondo guardava alla Costa Concordia e – in seconda battuta – ci si interessava su quando sarebbe stato trasmesso il video di Silvio Berlusconi, ieri in Italia avveniva una seconda operazione. Delicatissima quanto quella della Concordia, ad alto rischio per i potenziali livelli di inquinamento.


Gli operatori delle forze dell’ordine, attrezzati con rilevatori di radiazioni, guanti, tute protettive e maschere antigas hanno lavorato per ore e andranno avanti ancora per diversi giorni. Prima con le escavatrici – che hanno smosso la terra fino a una profondità di quasi dieci metri, con una lentezza certosina – poi con la strumentazione necessaria a capire l’entità della devastazione.

Teatro dell’operazione, via Sondrio, nella cittadina di Casal di Principe, culla della camorra casalese, in un terreno a pochi metri da una ludoteca per bambini evacuata per permettere i rilievi. Qui – secondo le dichiarazioni di un pentito – erano stati sepolti almeno vent’anni fa, decine di fusti di fanghi tossici, scarti di operazioni industriali “smaltiti” dai casalesi per conto di chissà quale impresa. Il tutto a costi bassissimi, di certo inferiori a quelli previsti per lo smaltimento dei rifuti previsto secondo le norme. E gli scarti industriali, si sa, per le aziende da sempre sono costi morti, soldi che escono senza portare frutto. Su questa esigenza per anni i casalesi hanno costruito le loro fortune, avvelenando la loro stessa terra e le persone.

Secondo un recente studio dell’Istituto Pascale, tra Napoli e Caserta la mortalità per tumore è aumentata del 15-20 per cento. In alcuni comuni, come Acerra, ad esempio, l’aumento supera il 30 per cento. Fino a raggiungere picchi del 47%. Il dossier Sentieri sulle aree contaminate, che analizza dal punto di vista epidemiologico i territori più esposti, stima in 9.969 il numero di vittime dell’inquinamento in 7 anni. E sono tumori al sistema respiratorio, leucemie, malattie cardiovascolari.

I rifiuti ritrovati dai tecnici dell’Arpac e dalle forze dell’ordine, erano stati sepolti ad appena cinque metri da una falda acquifera. I fusti in cui erano stati stoccati, invece, secondo quanto è emerso, si sarebbero “sbriciolati“, aggrediti dalle sostanze che contenevano e dalla terra.

A far ritrovare i fusti non sarebbe stato il pentito Carmine Schiavone, come scritto in un primo momento da diversi giornali, ma un altro collaboratore di giustizia. Ma è stato proprio Schiavone, in una clamorosa intervista rilasciata a SkyTg24, ad affermare che «Io certe cose, come i luoghi esatti dove è interrata l’immondizia più pericolosa, le ho dette nel 1997 durante le audizioni in commissione. Sapete cosa mi dissero? Che era impossibile bonificare perché servivano troppi soldi». E il problema, infatti, è sempre lo stesso: bonificare un disastro frutto di un’attività criminale durata oltre vent’anni, sembra un’opera titanica. Senza contare il rischio che a portare avanti le operazioni di recupero del territorio siano società comunque legate alla camorra.

Fonte: Diritto di critica

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