venerdì 27 settembre 2013

Siamo tornati ai tempi del colera, la nostra agricoltura è finita


Si è creato un allarme senza precedenti. Può essere anche ragionevole, la paura c’è. Ma come si è fatto con la camorra, dove tutti i cittadini della Campania sono stati marchiati come camorristi attraverso libri, racconti, servizi giornalistici, senza fare una corretta distinzione tra l’1% di cittadini che sono camorristi e il 99% che sono persone oneste e gran lavoratori, così si sta creando la psicosi intorno ai beni agricoli della nostra terra. 

Fuori da questa regione si è creato il panico Campania. I prodotti agricoli delle nostre terre sono visti come cattivi prodotti. Nessuno li vuole più. La clientela oltre regione guarda con attenzione la provenienza, se sono campani, soprattutto dell’area napoletana e casertana, girano lo sguardo dall’altra parte, anzi, mantengono la distanza per paura di incappare in qualche epidemia contagiosa.

Questo è quello che abbiamo costruito: paura e soltanto paura nei confronti della nostra terra. Non né usciamo se continuiamo a gioire su i nostri guai. Vogliamo imparare, per una volta, a fare distinzione tra le due cose. Possibile che questa regione debba morire per mano di scelleratezze vocali e mediatiche. Possibile che non ci rendiamo conto che siamo noi stessi a scavare la fossa alla nostra amata terra. È vero che c’è il danno commesso dalla camorra che ha disseminato rifiuti pericolosi, ma è anche vero che adesso dobbiamo difenderla dagli attacchi mediatici che ogni giorno riempiono pagine e pagine di cronaca nazionale e internazionale, disegnando un quadro poco chiaro della Campania. Questi disegni creano enormi danni che mai più riusciremo a recuperare, perché per gli altri la Campania è la regione della camorra, del malaffare, della politica corrotta, dei cittadini consenzienti, dei sfaticati e fannulloni. Ormai la Campania non è più niente. Siamo tornati ai tempi del colera, dove prendevano le distanze da noi perché eravamo appestati. I rifiuti tossici stanno causando lo stesso danno. Vi invito ad uscire da questa regione e verificare ciò scritto. Stiamo demolendo l’agricoltura e nello stesso tempo il turismo. Facciamo le dovute distinzioni o siamo finiti per davvero.

Francesco Torellini

Fonte: Quotidianoitalia.it

giovedì 26 settembre 2013

L’area sidicina a ridosso della fascia più inquinata

Veduta dell'Alto Casertano da Roccamonfina

Una classifica speciale, di quelle in cui però nessuno vorrebbe entrare. E’ quella presentata dal Ministero della Sanità in cui ci sono tutti i comuni che risultano inquinati e a forte rischio inquinamento. Che alcune aree della provincia di Caserta fossero particolarmente a rischio non è una novità, poi le rivelazioni che il pentito di camorra Carmine Schiavone ha fatto in merito ai rifiuti sepolti, hanno fatto il resto. Ebbene in questa speciale classifica l’Alto Casertano, quell’area che parte da Teano e arriva fino a San Pietro Infine, è totalmente escluso. Se il dato in se’ sembra positivo, la vicenda va valutata anche secondo un altro aspetto. Tra i 44 comuni che secondo il Ministero sono a forte rischio inquinamento non vi sono solo aree lontane dalla realtà sidicina, ma anzi vi sono anche tanti comuni della fascia direttamente collegata a Teano. Si pensi a Falciano del Massico, Francolise, Sessa Aurunca, Capua. Le aree che sono inserite da Roma in questa classifica non troppo positiva, inquinate oltre ogni limite di legge. Sei milioni di persone (in totale) esposte a rischio malattie, tutte mortali: tumori, malattie respiratorie, malattie circolatorie, malattie neurologiche, malattie renali. Il ministero della Salute ha diramato la lista delle zone a rischio, individuando una macro area compresa tra il litorale domizio-flegreo e l’agro Aversano, che comprende le province di Napoli e Caserta. Teano, Caianello, Vairano Patenora, Riardo, Pietramelara, Pietravairano, sono comuni troppo vicini a quell’area per poter credere di essere totalmente esenti e lontani da quei problemi. La vittoria di Pietravairano con il sindaco Francesco Zarone in prima linea contro il cementificio e la momentanea stasi della situazione Turbogas a Presenzano lasciano ben sperare, anche e soprattutto con uno sguardo volto al futuro, ma non si può dimenticare l’enorme impatto di cementificazione degli ultimi 30 anni sul territorio, fino quasi a metterne in secondo piano quella vocazione agricola tanto rivisitata oggi. L’esclusione da questa classifica deve essere un vanto per chi ha saputo amministrare con uno sguardo attento all’ambiente e al territorio, ma deve essere soprattutto un campanello d’allarme per chi sta guardando ad uno sviluppo dell’Alto Casertano. Comitati civici, partiti, associazioni e ogni singolo cittadino sono chiamati a vigilare senza abbassare la guardia. Il pericolo è reale e concreto.

Stefano Peccerillo

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mercoledì 25 settembre 2013

L'elenco che fa paura...

Acerra, Arienzo, Aversa, Bacoli, Brusciano, Caivano, Camposano, Cancello ed Arnone, Capodrise, Capua, Carinaro, Carinola, Casagiove, Casal di Principe, Casaluce, Casamarciano, Casapesenna, Casapulla, Caserta, Castelvolturno, Castello di Cisterna, Cellole, Cervino, Cesa, Cicciano, Cimitile, Comiziano, Curti, Falciano del Massico, Francolise, Frignano, Giugliano in Campania, Grazzanise, Gricignano di Aversa, Lusciano, Macerata Campania, Maddaloni, Marcianise, Mariglianella, Marigliano, Melito di Napoli, Mondragone, Monte di Procida, Nola, Orta di Atella, Parete, Pomigliano d’Arco, Portico di Caserta, Pozzuoli, Qualiano, Quarto, Recale, Roccarainola, San Cipriano d’Aversa, San Felice a Cancello, San Marcellino, San Marco Evangelista, San Nicola la Strada, San Paolo Bel Sito, San Prisco, San Tammaro, San Vitaliano, Santa Maria a Vico, Santa Maria Capua Vetere, Santa Maria la Fossa, Sant’Arpino, Saviano, Scisciano, Sessa Aurunca, Succivo, Teverola, Trentola- Ducenta, Tufino, Villa di Briano, Villa Literno, Villaricca e Visciano. Questi, in ordine alfabetico, secondo l'elenco diramato qualche giorno fa dal Ministero della Salute, i 47 comuni della Campania a più alto rischio di tumore per inquinamento di aria, acqua e suolo. E ciò non significa che gli altri comuni siano immuni. I dati in realtà risalgono al novembre del 2012. La notizia però sembra ora essere ufficiale ed è circolata in rete nelle ultime ore. E' nella provincia di Caserta che la ricerca individua la maggiore concentrazione di inquinamento. I numeri, in base a quella ricerca pubblicata un anno fa, dicono che sono esposti a tumori ed altre malattie oltre 6 milioni di italiani. Si tratta di siti che comprendono aree industriali dismesse, aree industriali in corso di riconversione, aree industriali in attività, aree che sono state oggetto in passato di incidenti con rilascio di inquinanti chimici e aree oggetto di smaltimento incontrollato di rifiuti anche pericolosi.

mercoledì 18 settembre 2013

L’Italia dei veleni, così la Camorra avvelena terreni e falde acquifere

Mentre il mondo guardava alla Costa Concordia e – in seconda battuta – ci si interessava su quando sarebbe stato trasmesso il video di Silvio Berlusconi, ieri in Italia avveniva una seconda operazione. Delicatissima quanto quella della Concordia, ad alto rischio per i potenziali livelli di inquinamento.


Gli operatori delle forze dell’ordine, attrezzati con rilevatori di radiazioni, guanti, tute protettive e maschere antigas hanno lavorato per ore e andranno avanti ancora per diversi giorni. Prima con le escavatrici – che hanno smosso la terra fino a una profondità di quasi dieci metri, con una lentezza certosina – poi con la strumentazione necessaria a capire l’entità della devastazione.

Teatro dell’operazione, via Sondrio, nella cittadina di Casal di Principe, culla della camorra casalese, in un terreno a pochi metri da una ludoteca per bambini evacuata per permettere i rilievi. Qui – secondo le dichiarazioni di un pentito – erano stati sepolti almeno vent’anni fa, decine di fusti di fanghi tossici, scarti di operazioni industriali “smaltiti” dai casalesi per conto di chissà quale impresa. Il tutto a costi bassissimi, di certo inferiori a quelli previsti per lo smaltimento dei rifuti previsto secondo le norme. E gli scarti industriali, si sa, per le aziende da sempre sono costi morti, soldi che escono senza portare frutto. Su questa esigenza per anni i casalesi hanno costruito le loro fortune, avvelenando la loro stessa terra e le persone.

Secondo un recente studio dell’Istituto Pascale, tra Napoli e Caserta la mortalità per tumore è aumentata del 15-20 per cento. In alcuni comuni, come Acerra, ad esempio, l’aumento supera il 30 per cento. Fino a raggiungere picchi del 47%. Il dossier Sentieri sulle aree contaminate, che analizza dal punto di vista epidemiologico i territori più esposti, stima in 9.969 il numero di vittime dell’inquinamento in 7 anni. E sono tumori al sistema respiratorio, leucemie, malattie cardiovascolari.

I rifiuti ritrovati dai tecnici dell’Arpac e dalle forze dell’ordine, erano stati sepolti ad appena cinque metri da una falda acquifera. I fusti in cui erano stati stoccati, invece, secondo quanto è emerso, si sarebbero “sbriciolati“, aggrediti dalle sostanze che contenevano e dalla terra.

A far ritrovare i fusti non sarebbe stato il pentito Carmine Schiavone, come scritto in un primo momento da diversi giornali, ma un altro collaboratore di giustizia. Ma è stato proprio Schiavone, in una clamorosa intervista rilasciata a SkyTg24, ad affermare che «Io certe cose, come i luoghi esatti dove è interrata l’immondizia più pericolosa, le ho dette nel 1997 durante le audizioni in commissione. Sapete cosa mi dissero? Che era impossibile bonificare perché servivano troppi soldi». E il problema, infatti, è sempre lo stesso: bonificare un disastro frutto di un’attività criminale durata oltre vent’anni, sembra un’opera titanica. Senza contare il rischio che a portare avanti le operazioni di recupero del territorio siano società comunque legate alla camorra.

Fonte: Diritto di critica

sabato 7 settembre 2013

Siria: non facciamo finta che la guerra non ci sia già


Al tempo della guerra fredda, la sinistra (e quella legata al Pci ed all’Urss in particolare) leggeva la realtà mondiale attraverso lenti rigidamente bipolari: di qua ci sono l’Urss con i suoi alleati ed i paesi del Terzo mondo in lotta contro l’imperialismo americano, dall’altra parte ci sono gli Stati uniti ed i paesi capitalisti. Ovvio che i primi avessero sempre ragione ed i secondi sempre torto ed era facile “leggere” la realtà internazionale alla luce di questa “analisi di classe” (sic!). Ogni intervento americano era un’aggressione contro cui mobilitarsi, mentre ogni intervento sovietico (compresi quelli in Ungheria, Cecoslovacchia, Afghanistan) era necessitato dall’esigenza di contrastare un qualche piano imperialista.

Qualcuno, per la verità, storceva il naso davanti alle invasioni sovietiche “condannandole”, ma fra foreste di se, di ma e di però. Naturalmente, per far quadrare i conti, occorreva rimuovere tutta una serie di dati “scomodi”: il conflitto cino-sovietico? Dissidi momentanei. Il “socialista arabo” Nasser reprime operai e studenti ad Heluan, nel febbraio 1971? Colpa dell’aggressione israeliana che ha destabilizzato il processo rivoluzionario egiziano, situazione delicata su cui occorre sospendere il giudizio. L’altro socialista arabo Nimeyri, alleato dell’Urss, massacra centomila comunisti ed impicca il segretario del Pc sudanese Maghiub? Situazione difficile da analizzare su cui sappiamo troppo poco. E via rimuovendo, aggiustando, giustificando, sorvolando.

Questa visione del mondo era sicuramente sbagliata (ed esponeva a sbandate come quelle di esprimere solidarietà perfino a quei macellai dei Khmer rossi) ma, alla fine, aveva un suo fondamento: effettivamente gli Usa erano una potenza imperialista ed i loro interventi erano funzionali alla difesa di un certo ordine mondiale. C’erano molte forzature, rimozioni e spericolate arrampicate sugli specchi, ma, almeno, un fondamento di verosimiglianza c’era.

Queste lenti, già assai difettose quaranta anni fa, sono ormai totalmente inservibili oggi, nel mondo policentrico della globalizzazione. Il loro effetto, ormai è quello di rendere totalmente orbi. E veniamo al caso siriano.

Sinceramente, non sono affatto convinto della bontà delle “prove” addotte dagli americani sulla responsabilità di Assad negli attacchi con i gas. Si tratta di prove tutte non dico fabbricate, ma sicuramente fabbricabili e che convincono poco. Che qualcuno abbia usato quelle armi criminali è fuori discussione, ma siamo sicuri che sia stato Assad e non chi voleva provocare un intervento americano contro Damasco? Ho molti dubbi in proposito, non tanto perché non pensi il dittatore alauita capace di questo e d’altro, ma perché non mi sembra una mossa vantaggiosa per lui, nell’economia del conflitto: quale sarebbe il vantaggio militare di una cosa del genere? Ed allora, per quale ragione Assad dovrebbe rischiare un intervento americano senza alcun vantaggio apparente? Lui quelle armi le ha, ed è possibile che prima o poi le usi, ma credo lo farebbe di fronte a situazioni estreme, non a casaccio, per puro sadismo.

Se poi c’è un vantaggio nascosto, può darsi ma occorre dimostrarlo. Detto questo, però, come si fa a negare che Assad stia combattendo una guerra anche contro una larga parte del suo popolo? Un classico esempio di “guerra ai civili” in funzione anti insorgenza. Ne abbiamo viste. Non avrà usato i gas, ma non venitemi a dire che il suo esercito non ha perpetrato altre atrocità!

Non tutto è spiegabile con la spinta della primavera araba: il caso siriano presenta molte particolarità, come l’accentuatissimo conflitto etnico-religioso interno e, sicuramente, in tutto questo ci hanno pescato turchi e sauditi, salafiti e semplici avventurieri. Siamo d’accordo. Ma dipingere tutto come l’aggressione gratuita di corpi esterni dietro cui c’è il burattinaio Usa, mi pare che sia semplicemente spudorato. Come dire: i negazionisti della Shoa ci fanno un baffo!

Sono commoventi quelli che ti scrivono che loro sanno che le cose non stanno come dicono i giornali, perché hanno parlato con “una persona che è andata lì ed ha visto con i suoi occhi” e sa per conoscenza diretta. Poi ci sono quelli che ti ripetono che non si può prendere per forza posizione su tutto, che occorre tempo per capire ed intanto fa finta di non vedere il massacro di un popolo. Qualche altro ti dice che, però, bisogna vedere “chi ha dato fuoco alle polveri”. O quello che dice che le atrocità le fanno solo gli anti Assad. 

Conosco la capacità di manipolazione dei media da parte dei servizi (mi pare di averci scritto qualcosa in proposito), ma direi che di prove di massacri di civili da parte delle truppe del regime ce ne sono a sufficienza e non possiamo liquidare tutto con il “complotto imperialista”. Come mi pare che non ci siano dubbi sul fatto che le responsabilità maggiori siano quelle degli uomini di Assad, anche se gli altri non sono proprio delle suorine di carità.

D’altra parte, se pure la maggior parte delle responsabilità stessero dall’altra parte, cosa cambierebbe ai fini della cessazione del massacro? Ed allora, cosa c’è da fare? C’è un partito di opinione, alla cui testa si sono messi intellettuali come Bernard Henri Levy o Giuliano Ferrara, per il quale il problema è semplicemente quello di abbattere Assad e poi va tutto a posto. E magari non considerano che le tre formazioni anti-regime inizierebbero a scannarsi fra loro 10 secondi dopo, al solito mettendo di mezzo la popolazione.

All’estremo opposto, ci sono quelli che, invece, sono convinti che basta che gli Usa non intervengano, per salvare la pace. Vedo che su questa linea è anche Annamaria Rivera (Manifesto 5 sett. p.1). Amici, capiamoci: la guerra c’è già, non è l’intervento americano a farla scoppiare. Conosco personalmente molti sostenitori a cominciare proprio da Annamaria Rivera che mi onora di un’amicizia quarantennale e della quale apprezzo il rigore di studiosa e la sensibilità umana e politica. Non dubito che persone così siano in totale buona fede, ma non posso non ricordargli che la guerra c’è già da tre anni e non possiamo far finta che non ci sia.

Ma, mi diranno alcuni, l’intervento americano sarebbe benzina sul fuoco e rischierebbe di estenderla ancora, coinvolgendo altri, sino al rischio di un nuovo conflitto mondiale. Sono d’accordo ed ho già detto che l’intervento americano sarebbe un puro esercizio di potere imperiale molto pericoloso, ma, anche qui, capiamoci: la possibilità di un allargamento del conflitto, risucchiandovi prima di tutto la Turchia, ma via via, anche Iran, Israele, Arabia Saudita, c’è anche se lasciamo marcire la situazione siriana così come è. Ed, a quel punto, il rischio di coinvolgimento delle grandi potenze diventerebbe molto più concreto di oggi. Ed anche a proposito dell’appello del Papa (del quale condivido al 100% le finalità) va detto che la minaccia di conflitto generalizzato c’è tanto se gli americani fanno qualche fesseria, quanto se non la fanno e le cose vanno avanti così come sono.

Oggi il problema politico non è né quello di abbattere Assad (consegnando poi il paese a chi?) né quello, opposto, di con fermarne il potere. Dell’assetto interno della Siria si vedrà dopo che fare, cercando di restituire il potere decisionale al popolo siriano.

Per ora il problema è un altro: fermare la guerra, bloccare i massacri della popolazione civile, evitare che le masse di profughi destabilizzino i paesi limitrofi e scongiurare il rischio di allargare il conflitto ad altri. Questo è il punto politico in discussione oggi, e piantiamola di fare le anime belle che risolvono i problemi facendo finta che non ci siano. Occorre trovare un modo per ottenere il risultato prefisso e questo non può prescindere dall’uso della forza.

Quindi, smettiamola di dire scemenze pensando che tutti gli interventi siano uguali, in nome del rispetto della sovranità nazionale, della non violenza, del primato della diplomazia o di chissà quale altro principio generale, astrattissimo ed inservibile. C’è sempre un principio generale invocando il quale ci si autorizza a calpestare tutti gli altri. Basta scegliere quello che fa più comodo. E questo vale per gli stati e per le anime belle del pacifismo non violento, che non sono meno ipocriti degli stati.

Le scelte si fanno nel concreto dei casi, cercando, di volta in volta, di mediare fra le diverse esigenze anche di ordine morale (l’uso minimo della violenza, il rispetto della vita umana, il principio di autodeterminazione dei popoli ecc.). E di volta in volta si sceglie la modalità più idonea a raggiungere il risultato. Pertanto, non è affatto vero che un intervento è uguale ad un altro: c’è intervento ed intervento. Quello unilaterale americano è sbagliatissimo, perché sbilancia la situazione, è una operazione all’avventura e, non solo non mette fine alla guerra, ma rischia di allargarla.

Al contrario, potrebbe essere utile che l’Onu disponga l’intervento di una forza multinazionale, che comprenda sia le grandi potenze che propendono per Assad (Cina e Russia) sia quelle che gli si oppongono (Usa ed europei), con un comandante neutrale (indiano, brasiliano, messicano o altro) che garantisca che l’intervento resti nei limiti del mandato. Dovrebbe trattarsi di una forza d’interposizione, non di occupazione, dunque con il compito di enucleare zone controllate dai diversi soggetti, evitando che le relative forze armate vengano a contatto. Ovviamente, resterebbero zone “miste” o singoli focolai, ma, via via, si potrebbe isolarli.

Dunque, compito della forza d’interposizione non sarebbe quello di consegnare il paese a questo o quel contendente o inventarsi un nuovo governo, ma quello di favorire la nascita di una conferenza di pace in cui concordare le modalità del nuovo ordine. Poi si vedrà se la soluzione può essere un governo frutto di libere elezioni (se ci si riesce) o la divisione del paese o una sorta di disarmo generalizzato in attesa di maturare nuovi equilibri.

Questa è l’ipotesi politica che comporta l’uso minimo della violenza e circoscrive il rischio di allargamento del conflitto.

Oppure ditemi voi quale può essere l’obbiettivo di un movimento contro la guerra che non sia quella di un movimento che fa finta che la guerra non ci sia.

Fonte: AgoraVox Italia